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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

254875
Saltini, Guglielmo Enrico 44 occorrenze
  • 1862
  • Le Monnier
  • Firenze
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

passo di più e poi invocheremo dalla Provvidenza un forte ingegno, che appropriatesi le moltiplici ricerche, gli studj indefessi, i lavori utilissimi

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travagliato dalla fortuna morì allo spedale di Santa Maria Nuova, ed ebbe modestissima tomba nel chiostro del convento di San Marco dalla pietà d’un

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assai correttezza nello stile; tanto che mostrate appena le prime opere giovanili promettitrici, ebbe a vent’anni un pubblico ufficio nello Scrittoio

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palazzo di Viareggio rimasto incompiuto, sono monumenti che basterebbero soli alla fama di un artista. Ma l’opera sua degna dei più bei tempi dell’arte è

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andarono disperse. Fu questa per lui la più grande delle sventure, e tanto se ne accorava che infermatosi, un lento morbo lo condusse al sepolcro. Lasciò

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meschini, e il dispendio dell’opera non concesse attuarla. Un decreto del 4 febbraio 1841 ordinava al Bettarini di recarsi a Tolone per istudiare sul

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, per la maggior parte ora esposti a Londra, e anche un bel trovato per migliorare Fattuale metodo di coprirei tetti, che ebbe le lodi dell’accademia dei

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da certe norme convenzionali, divenute oracoli per gli artisti; e guai a chi pensasse, per mo’ d’esempio, modellare un panno con gusto, senza avere

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dato anche alla scultura un valente maestro, chiamando da Roma a bella posta INNOCENZIO SPINAZZI, uno dei primarj che allora fiorissero in quella

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Superiore in merito al Carradori e di gran lunga, come quello che primo stampò un orma sicura sul nuovo campo dell’arte, fu STEFANO RICCI fiorentino

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del padre. Pure sentendosi chiamato da naturale inclinazione ad altra via, dopo essere stato fattorino di un vetrajo e poi di un sarto, riuscì ad

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celebrato artista disse in Italia e fuori la fama, e come al suo modo gentile di sentire gli affetti, rispondesse un gusto squisito dell’arte, che non

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rivolse intiera allo studio del vero, e non greca la volle o romana, sibbene per naturali bellezze sublime. Trovato un concetto filosofico e sempre

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, nel 1820 ottenne la pensione di Roma. Di là inviava le copie del Mosè di Michelangiolo e di un leone del Canova, poi una sua vaghissima Leda. E

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, e dal moto dei labbri, e da tutta la persona traspare la virtù del sapiente ragionamento. Ma già fino dal 1836 aveva esposto il Demi un suo gruppo in

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rappresentare pezzi anatomici, quantunque il Cigoli avesse già con tal mezzo tentato formare un modello della musculatura del corpo umano, I più abili tra questi

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getti di finitura e delicatezza mirabile. Nel 1837 fece il busto di un giovinetto da esso modellato sul vero; dopo di che avuto modo per favore di

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artificiale è una prova che voi riunite il doppio merito di dotto anatomico e di abilissimo disegnatore.» Pure retribuito sempre come un semplice

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’incarico di formare un intiero gabinetto anatomico per l’Imperatore d’Austria, ebbe mestieri di circondarsi di aiuti. Ma dei quattro ammessi al suo

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studiarne il risorgimento, vogliamo far sosta un poco, e vedere quali cose operassero questi pittori toscani dell’ottocento, non pochi di numero, nè

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un certo trovato del dipingere con sughi d’erbe sopra panni bianchi a guisa d’arazzo. — Migliore assai fu TOMMASO GHERARDINI (n. 1715, m. 1797

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Le cose passarono meglio a Lucca. Un suo cittadino POMPEO BATONI (n. 5 febbrajo 1708, m. 4 febbrajo 1787), riuscito pittore chiaro per immaginativa

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A Prato poi lavoravano di prospettive GIUSEPPE CASTAGNOLI (n. 1754, m. 1832) stato maestro d’ornati nell’Accademia fiorentina, e autore di un libro

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E vuolsi infine mentovato un altro pittore di storie a fresco, che sebbene ricco di feconda immaginazione, e di prontezza singolare, ebbe a’ suoi

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, fu giudicato superiore a quante pitture erano state fatte da un secolo. Grandioso lo stile, bella la composizione, corretto il disegno, buono il

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piedi. Laonde da un così fatto esercizio acquistò nel comporre un fare largo e ricchissimo, che poi tradotto nei suoi dipinti e specialmente nei freschi

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principii dell’arte, giovinetto ancora concorse ai temi proposti dall’Accademia milanese, e due volte ottenne il premio; la prima (1805) con un gran

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XVIII ai dì nostri, può dirsi presso che nuovo, ben poco trovandosene nei libri. Ma comunque la brevità del tempo che ci fu assegnato (poco più di un

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pregi del Bezzuoli; ai quali quando si fosse congiunto maggiore studio nel comporre, un po’di parsimonia nella tavolozza, e tal volta più cura nel

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associano in coro un loro confratello morto, e la Messa cantata. — ANTONIO MARINI di Prato (n. 27 maggio 1788, m.10 settembre 1861), prese ad imitare ne

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costretto a indietreggiare. Da Venezia recò una copia dell’Assunta di Tiziano, che si conserva nel palazzo dei Pitti. Fece quindi il bozzetto di un quadro

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Giuseppe venduto dai fratelli. Dipinse più tardi un salone nella Galleria de’ Pitti, ove intese effigiare il carro del Sole oscurato da Minerva e

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benché sia un composto di calce, anch’oggi dura saldissima. Vero è che ambedue queste opere non sono fattura di toscani, dovendosi la prima all

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istorie artistiche non ignorano affatto, ebbe più vera e propria vita ai tempi del granduca Cosimo I de’ Medici, che con forte dispendio fondò un ricco

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manifattura delle pietre dure, valse a recarvi notevoli perfezionamenti; e morendo lasciò nel figliuolo CARLO, che ebbe pure il suo impiego, un degno erede

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nel taglio. — CARLO FAUCCI, discepolo anch’esso del vecchio Gregori, che incise qualche buona stampa, come la favola d’Ercole sopra un disegno del

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chiaro nome e comodo stato. Dal suo primo lavoro, che fu un San Filippo eseguito in Firenze, fino all’ultimo, la Strage degli Innocenti da Guido Reni

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Contemporaneo al Bartolozzi si levò nell’arte un altro fiorentino, VINCENZIO VANGELISTI (n. 1744 circa, m. in Milano nel 1793), meno grande, se

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della non comune erudizione, rispondendo ad un programma dell’Accademia di Parigi intorno all’architettura egiziana. Dopo il 1791, reduce da un viaggio

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Intanto dalla scuola del Morghen uscirono, com’era da sperare, artisti valenti e degni di un cosi chiaro maestro. ANGELO EMILIO LAPI fiorentino (m

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, morte lo rapi alla famiglia, agli amici, all’Italia, che già onorava in lui un figliuolo diletto. Questo artista guidato dall’altissimo ingegno suo

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. 8 maggio 1792). Nel 1825 espose all’Accademia di Milano, Gesù bambino presentato al tempio, da un quadro di fra Bartolommeo da San Marco, e n’ebbe il

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Firenze, ed oltre ad avere maestrevolmente inciso il Carlo V a cavallo del Wandick, e un bellissimo ritratto del letterato Giuseppe Borghi, ha fatto tra

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’impara a scuola, appresi da un mediocre architetto gli elementi dell’arte, non pensò che a francarsi dalla imitazione dei suoi coetanei, e a ripristinare

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